La chiesa sotterranea che sfida i secoli | Le profondità sconosciute di San Matteo al Cassaro, gemma di Palermo
Cripta barocca, loculi marmorei e passaggi “misteriosi”: scopri la chiesa di San Matteo al Cassaro, il lato più profondo di Palermo.

Un ingresso minuscolo, un impatto colossale
Chi percorre il Cassaro, l’arteria più antica di Palermo, alza lo sguardo e rimane spiazzato: dietro un portone apparentemente anonimo si erge la facciata “troppo alta” di San Matteo al Cassaro, sovrapposta in strati barocchi che sembrano voler sfondare il cielo. Costruita fra 1633 e 1664, fu pensata per sbalordire tanto i devoti quanto i viaggiatori stranieri, che la descrissero come “un gioiello incastonato in una strada troppo stretta”.
L’Unione dei Miseremini: misericordia a ciclo continuo
A promuovere l’opera fu la confraternita dei Miseremini, votata a dire centinaia di messe quotidiane in suffragio delle anime del Purgatorio. Per questa missione il giureconsulto Mario Muta donò un intero palazzo e il terreno su cui sorse il tempio; l’architetto senatorio Mariano Smiriglio ne tracciò le linee basilicali, poi completate da Gaspare Guercio e Carlo D’Aprile.
Trionfo barocco fra Serpotta e D’Anna
Dentro, un tripudio di marmi mischi, stucchi di Giacomo Serpotta e volte dipinte da Vito D’Anna raccontano in immagini la “salvezza delle anime”. L’altare maggiore, con lapislazzuli e pietre dure, competeva per ricchezza con quelli delle grandi basiliche romane.
Sotto l’altare, 36 metri di silenzio
Pochi sanno che sotto la navata centrale corre una cripta di 36 metri, costellata di loculi con poggiatesta in marmo. Era il luogo di sepoltura privilegiato per i confratelli, ma anche per artisti “di casa”: Serpotta e D’Anna scelsero di riposare proprio là dove avevano scolpito e affrescato la gloria eterna.
Arte, ossa e (vere) suggestioni sotterranee
Il fondo della cripta conserva l’incavo dell’antico altare per le messe dei defunti; sui muri restano tracce di pitture votive, mentre gli stretti corridoi laterali mostrano piccole “finestre” che permettevano ai parenti di riconoscere i defunti dai dettagli delle maioliche florida barocche.
Passaggi nascosti e l’eco dei Beati Paoli
Dal presbiterio una botola conduce a cunicoli che, secondo cronache ottocentesche e il romanzo di Luigi Natoli, avrebbero collegato la chiesa ai percorsi usati dai leggendari Beati Paoli. Non è prova certa, ma documenti d’archivio citano realmente un “corridoio di servizio” utilizzato per processioni penitenziali durante le notti di quaresima.
Restauri, chiusure e attese
Fra 1970 e 1990 più furti e crolli hanno mutilato la sacrestia; oggi la chiesa è visitabile solo tramite aperture straordinarie e resta in attesa di un progetto di restauro integrale promosso dalla Curia e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali.
Curiosità: quando gli artisti vollero farsi seppellire fra le loro opere
Immagina l’oscurità fragrante di cera, il profumo acre dell’incenso e il rintocco ovattato di un martello che sigilla un loculo: è la notte dell’8 marzo 1736. Nel cuore della cripta di San Matteo al Cassaro viene deposto il feretro di Giacomo Serpotta, “maestro della luce nel gesso”, che aveva richiesto nel testamento di tornare dove la sua arte era nata. Il confrate scultore non voleva una tomba monumentale: solo un piccolo bassorilievo con l’Angelo della Misericordia, nascosto alla vista dei comuni fedeli. Trentotto anni dopo, nel 1774, un altro corteo attraversa il vicolo: è quello di Vito D’Anna, il “Tiepolo di Sicilia”. Anche lui, pittore di cieli spalancati e santi estatici, ha scelto il silenzio della cripta: nei registri dell’Unione dei Miseremini si legge che “fu posto vicino al suo pennello ideale, sotto la navata che dipinse”.
Ma la storia non finisce qui. Nel 1823 alcuni confratelli, temendo crolli causati dall’umidità, murarono i loculi più antichi, creando un labirinto dentro il labirinto. Quando nel 1964 i restauratori scesero per un sopralluogo trovarono frammenti di tavolozze, conchiglie usate per i pigmenti e persino un guanto da affresco ancora macchiato di azzurro lapislazzuli: tracce tangibili di atelier mobili che gli artisti allestivano in situ per affrescare le cappelle.
Le analisi chimiche della polvere delle pareti hanno rivelato particelle di azzurrite e cinabro incompatibili con la luce della navata – segno che D’Anna miscelava i colori direttamente nel sottosuolo per evitare l’umidità esterna. Così la cripta, da freddo dormitorio di pietra, divenne laboratorio segreto, camera funebre e “capsula del tempo” di due giganti dell’arte barocca palermitana. Oggi, dietro un’inferriata, una lampada votiva illumina appena quei loculi: non esiste lapide turistica né cartello esplicativo, ma basta chinarsi e osservare un dettaglio – la traccia di stucco bianco o un frammento di pigmento rosso – per sfiorare il respiro immortale della creatività che, qui sotto, non ha mai smesso di pulsare.
