Un quartiere a Palermo che continua a vivere nel presente | Ecco dov'è la realtà che resiste a tutto

Scopri Albergheria, cuore arabo di Palermo: dal mercato Ballarò alle cupole rosse, un viaggio fra marmi, graffiti e misteri millenari.

A cura di Paolo Privitera
10 luglio 2025 18:00
Un quartiere a Palermo che continua a vivere nel presente | Ecco dov'è la realtà che resiste a tutto - Foto: Matthias Süßen/Wikipedia
Foto: Matthias Süßen/Wikipedia
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Un’araba radice antica nel tessuto vivo di Palermo

L’Albergheria prende forma nel X secolo, quando gli emiri trasformano la fascia meridionale della vecchia Panormos in un intreccio di ḥarāt (borghi) attraversati dal torrente Kemonia. Qui sorgono le porte Bab al Anbā e Bab al Sudān, varchi che collegano la campagna al fulcro mercantile della capitale islamica. Il toponimo odierno compare solo nel 1243, quando Federico II vi “albergò” — deportandoli — i ribelli di Centuripe e Capizzi, da cui Albergaria. Da allora il quartiere non ha mai abbandonato la sua matrice araba, sopravvivendo a Normanni, Aragonesi e Viceré.

Ballarò: il souk dei palermitani che canta da mille anni

Se l’Albergheria è un palinsesto di civiltà, Ballarò ne è la voce: un mercato continuo dove le “abbanniate” (urla dei venditori) mescolano arabo, dialetto e spezie. Il nome, attestato già nel XII secolo, si ricollega al villaggio di Bahlara presso Monreale, da cui partivano i mercanti musulmani che rifornivano la città. Oggi, tra pannelli di legno e cassette di agrumi, si vende ancora pane e panelle, polpo bollito e quarumi, in un aroma che resiste ai secoli come un canto ininterrotto.

Cupole rosse e pietre d’oriente: San Giovanni degli Eremiti

Terracotta accesa, volumi cubici e archi ogivali: la chiesa di San Giovanni degli Eremiti (1132) è la prova vivente del dialogo tra Islam e cristianesimo normanno. Le sue cinque cupole — rialzate nell’Ottocento dall’architetto Patricolo — riecheggiano le moschee maghrebine; il chiostro con agrumeto interno racconta silenzi monastici e profumi di zagara. Dal 2015 il complesso è inserito nell’Itinerario Arabo-Normanno UNESCO, sigillo d’eternità sulla skyline palermitana.

Marmo mischio e barocco estremo: la Casa Professa

A pochi passi dal mercato si apre la Chiesa del Gesù — per i palermitani “Casa Professa”. È uno dei vertici del barocco europeo: pareti coperte da tarsie marmoree policrome, volute d’oro, putti in stucco e una volta affrescata che risucchia lo sguardo. In questo scrigno gesuitico del 1636 ogni centimetro grida ricchezza spirituale e, allo stesso tempo, sfida i sensi con un’esuberanza quasi teatrale. 

Di porte, bastioni e torrenti: la difesa “mobile” dell’Albergheria

Tra via Benfratelli e via Divisi correva la linea difensiva eretta dagli emiri, poi rinforzata dai Normanni. Restano i nomi delle antiche porte: Bab al Hadid (porta di ferro) all’ingresso laterale dell’attuale Facoltà di Giurisprudenza, Bab al Sudān (porta dei “mori”) lungo via Biscottai, e Bab al Anbā vicino a San Giovanni. Ogni varco è un passaggio di civiltà, una cicatrice di pietra che ancora detta la geografia urbana del quartiere. 

Curiosità: una torre arabo-normanna ancora abitata

Nel cuore dell’Albergheria, in via dei Biscottari 4, s’innalza il Palazzo Conte Federico, forse l’unico esempio in Europa di dimora privata che custodisce — e usa quotidianamente — una torre arabo-normanna del XII secolo. Chiamata “Torre di Scrigno”, la struttura dominava le mura meridionali della città e integrava una porta d’accesso nota come Bab Busuemi (“porta dei Sudani”), varco verso quello stesso Mediterraneo che aveva reso Palermo regina dei commerci.

Oggi la torre mostra due bifore originali, una normanna e una aragonese, con gli stemmi in pietra della Città di Palermo, degli Svevi e degli Aragonesi: un catalogo scolpito delle dinastie che si sono contese la Sicilia. Al piano nobile, raggiungibile tramite una scala in marmo rosso di Castellammare, si susseguono saloni affrescati da Vito D’Anna e Gaspare Serenario, soffitti lignei quattrocenteschi, collezioni d’armi arabe e ceramiche spagnole; un vero compendio delle stratificazioni culturali che definiscono l’Albergheria.

La particolarità più sorprendente? Il palazzo è ancora abitato dal conte Alessandro Federico — discendente diretto di Federico d’Antiochia, figlio naturale di Federico II — e dalla sua famiglia, che apre ogni giorno le porte ai visitatori (biglietto € 15). Durante il tour guidato, il conte stesso racconta di come la torre abbia ospitato nei secoli magazzini di spezie orientali, prigioni temporanee per cortigiani caduti in disgrazia e persino un osservatorio astronomico settecentesco usato per calcolare l’ora solare necessaria ai mercanti di Ballarò.

Così, mentre fuori risuonano le voci del mercato e il profumo di cannella e agrumi, all’interno di quelle mura millenarie si continua a vivere: una famiglia nobile, un drappello di curiosi e le pietre rosate della torre condividono lo stesso respiro. Nulla rappresenta meglio l’idea di “eternità” dell’Albergheria: il passato non è un museo chiuso, ma una casa abitata dove la storia si mescola alla quotidianità dei palermitani come il vento di scirocco alle vie strette del quartiere.

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