L’occasione della vita era un raggiro: vendeva auto noleggiate, 70 vittime. Chi è il truffatore
Immaginate di poter avere l’auto dei vostri sogni al prezzo di un’utilitaria: o è un sogno o è una maxi frode, come nel caso del truffatore che ha raggirato 70 vittime
Alessio Spiaggia, 30 anni, è stato definitivamente condannato a 8 anni di carcere per una maxi frode che ha coinvolto almeno 70 vittime e un giro d’affari illecito di oltre 800 mila euro. Spiaggia noleggiava auto, tra cui modelli di lusso come la Maserati Levante e diverse Audi di grossa cilindrata, per poi reimmatricolarle con documenti falsificati e rivenderle a ignari clienti. Questi, convinti di aver concluso l’affare della loro vita, si ritrovavano invece senza auto e con gravi perdite economiche.
La condanna definitiva e il rigetto del ricorso
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato, che chiedeva uno sconto di pena sostenendo di aver collaborato con gli inquirenti. Tuttavia, i giudici hanno respinto le argomentazioni, evidenziando che Spiaggia aveva utilizzato la truffa come un vero e proprio “strumento di lavoro”, operando con “spregiudicatezza manipolatoria” e in maniera seriale.
La condanna iniziale di 8 anni e 7 mesi, emessa dal gup Annalisa Tesoriere, era stata ridotta a 8 anni in appello, sentenza confermata dalla Cassazione. Spiaggia è stato inoltre condannato a pagare 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Un metodo collaudato e recidive post-arresto
L’imbroglio prevedeva il noleggio delle auto presso aeroporti di città come Palermo, Roma, Napoli e Torino. Una volta ottenuti i veicoli, Spiaggia falsificava i documenti per reimmatricolarli a suo nome o a nome di società di mediazione a lui riconducibili. Successivamente le auto venivano rivendute, spesso a concessionarie o privati. Anche dopo essere stato posto agli arresti domiciliari nel novembre 2021, Spiaggia aveva violato le prescrizioni, continuando a truffare banche e società finanziarie, aggravando così la sua posizione.
Le ragioni del rigore della sentenza
La Corte ha sottolineato che l’imputato non aveva mai fornito indicazioni sulla destinazione del denaro sottratto e aveva adottato una condotta progressivamente manipolativa durante le indagini, ammettendo parzialmente le sue responsabilità solo in base agli sviluppi investigativi. La gravità dei fatti e l’elevato numero di vittime hanno giustificato la severità della condanna.
Le vittime e i risarcimenti
Le circa 70 vittime della truffa, molte delle quali assistite dagli avvocati Matteo La Barbera e Maurilio Panci, si erano costituite parte civile nel processo. In primo grado era stato disposto un risarcimento medio di 1.900 euro per ciascun danneggiato, un piccolo recupero rispetto alle perdite subite.